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Fallimenti di banche e Fed

Il fallimento della Silicon Valley Bank solleva interrogativi riguardo alla politica della Fed e alla crescita economica

Si potrebbe considerare la politica monetaria restrittiva della Federal Reserve come l’apologo della bollitura della rana in cui si alza lentamente la temperatura sino al punto in cui è troppo tardi. La scorsa settimana, in occasione del rapporto semestrale al Congresso sulla politica monetaria, il Presidente della Fed Jerome Powell ha alzato la temperatura segnalando che la banca centrale americana potrebbe aumentare ancora il tasso di riferimento overnight sui fed fund di 50 punti base (pb) e questo ha coinciso con la corsa agli sportelli della Silicon Valley Bank (SVB).

La SVB era una banca di medie dimensioni con forte esposizione a startup del settore tecnologico, grande concentrazione della raccolta in conti di deposito istituzionali e un portafoglio d’investimento in titoli del Tesoro ed MBS di enti governativi che presentava significative perdite irrealizzate che ha forzatamente realizzato quando ha dovuto vendere titoli per far fronte ai deflussi di depositi. Le perdite irrealizzate nel portafoglio titoli di SVB erano superiori al suo capitale CET1 ed è venuta meno la fiducia dei depositanti rispetto alla capacità della banca di rimborsare i 175 miliardi di Dollari di depositi (al 31 dicembre 2022), in gran parte non coperti dal fondo di tutela dell’FDIC. Ne è derivato il ritiro di 42 miliardi di Dollari di depositi lo scorso giovedì e il venerdì è intervenuta l’autorità di vigilanza della California che ha affidato la liquidazione della banca alla FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation).

Il fallimento di SVB ha contribuito a un’ondata di vendite generalizzate che hanno fatto precipitare i titoli bancari, soprattutto quelli di altri istituti di credito regionali statunitensi. Dobbiamo immaginare che i deflussi di depositi da tutte le banche regionali nelle ore e nei giorni successivi al fallimento di SVB siano stati tali da richiedere l’intervento deciso delle autorità nel fine settimana per fermare il contagio. Domenica, il Tesoro americano, l’FDIC e la Federal Reserve hanno dichiarato in un comunicato congiunto che l’FDIC avrebbe garantito i depositi presso SVB e Signature Bank, un’altra banca con analoghe traversie, e che la Fed avrebbe istituito una nuova linea di credito a condizioni molto favorevoli per consentire alle banche di avere il tempo di mettere in sicurezza i propri bilanci. La Fed si è impegnata a concedere credito alle banche assumendo a garanzia i loro titoli di alta qualità al valore nominale (anziché al valore di mercato corrente).

Certo, SVB sotto molti aspetti era una banca unica nel suo genere. Altre banche regionali di analoghe dimensioni non presentano simili concentrazioni di depositi non garantiti di investitori istituzionali, il che significa che i loro “beta dei depositi”, ossia i maggiori interessi da corrispondere sui depositi a fronte degli aumenti dei tassi operati dalla Fed, sono inferiori. Inoltre non presentano concentrazioni analoghe di perdite non realizzate nei loro portafogli titoli rispetto al loro capitale CET1. Pertanto, se costrette a vendere quei titoli per far fronte ai deflussi di depositi, dispongono di maggiori riserve di capitale per affrontare eventuali perdite forzatamente realizzate. In aggiunta, riteniamo le grandi banche di importanza sistemica, che ricadono nell’ambito di applicazione della Legge Dodd-Frank e sono sottoposte a periodici stress test sul capitale e sulla liquidità, solide dal punto di vista finanziario e meno vulnerabili rispetto a fughe di depositi. In effetti, diverse delle maggiori banche stanno registrando afflussi netti di depositi negli ultimi giorni.

Questi eventi tuttavia possono benissimo condurre a una recessione. Non serve infatti un evento di deleveraging analogo al 2008 per portare l’economia in recessione. Il rallentamento della crescita del credito da solo può costituire un freno significativo alla crescita del PIL. Poiché il credito nell’economia è una variabile stock e il PIL è una variabile flusso, è il flusso del credito che conta per il PIL. Quello che conta per la crescita del PIL reale sono le variazioni nel flusso del credito, quello che gli economisti chiamano l’impulso del credito. Ci sono ottime ragioni per credere che la crescita del credito, che stava già rallentando, ridurrà ulteriormente il passo in conseguenza diretta di questi ultimi eventi, nonostante le misure adottate dalle autorità di governo e dalla Fed.

In primo luogo, le banche regionali, i cui titoli azionari hanno subito notevoli cali di prezzo alla data di stesura di questo blog, verosimilmente avranno una maggiore avversione al rischio, quantomeno nel breve periodo sino a che la situazione non si rischiarerà e si attenuerà la volatilità. Molte di queste banche sono tuttora a rischio di deflussi dei depositi verso banche di maggiori dimensioni. L’FDIC nel weekend ha dichiarato che garantirà tutti i depositi, anche quelli oltre la soglia normalmente garantita, presso SVB e Signature Bank ma non quelli dell’intero sistema bancario. Per la sua mera entità, l’estensione della garanzia a tutti i depositi non garantiti richiederebbe un intervento del Congresso. Inoltre, stando ai dati della Fed, le banche di piccole dimensioni rappresentano circa la metà del totale degli attivi bancari domestici, un terzo dei prestiti commerciali e industriali in essere e la metà dei prestiti immobiliari. È difficile credere che queste banche, temendo potenziali repentini deflussi di depositi, non inaspriranno i requisiti per la concessione di credito e non rallenteranno l’erogazione del credito come diretta conseguenza.

In secondo luogo, e collegato al primo, la regolamentazione delle banche regionali può diventare più stringente. Nel 2018, con voto bipartisan il Congresso ha approvato una legge (L. 2155) che ha esonerato le banche di piccole e medie dimensioni rispetto a molti dei requisiti di liquidità e di capitale previsti dalla Dodd-Frank. Questo intervento legislativo non può essere incolpato di tutto. La Fed aveva dello spazio di manovra rispetto alla specifica implementazione e la vigilanza probabilmente ha avuto un ruolo. Pertanto la Fed probabilmente renderà più severi gli standard regolamentari per le grandi banche regionali laddove potrà (in particolare per le banche con attivi superiori a 100 miliardi di Dollari), riducendone la capacità e la volontà di concedere alcuni dei prestiti più rischiosi che le banche di grandi dimensioni soggette alla Dodd-Frank non volevano.

In terzo luogo, ipotizzando che la risposta delle autorità sia sufficiente a ristabilire la fiducia e stabilizzare i depositi delle banche regionali sul breve periodo, le misure annunciate ad oggi non affrontano la questione centrale relativa al fatto che si possono ottenere maggiori rendimenti con un veicolo d’investimento a basso rischio, con un fondo monetario di titoli governativi che ha accesso al programma di pronti contro termine (Reverse Repo Facility - RRP) della Fed. Facciamo un passo indietro, gli interessi sui depositi bancari sono rimasti indietro rispetto all'aumento dei tassi sui fed fund e questo ha reso gli investimenti in fondi monetari più remunerativi rispetto ai depositi bancari. Aumentare gli interessi sui depositi tuttavia non è privo di costi. Nello scenario di base riduce il margine d’interesse delle banche e contribuisce alla volatilità di prezzo dei rispettivi titoli azionari. Nello scenario peggiore, aumentare gli interessi sui depositi potrebbe rendere alcune banche non profittevoli in quanto gli interessi corrisposti sui depositi potrebbero essere superiori agli interessi percepiti sui prestiti e ai rendimenti dei titoli accumulati negli ultimi due o tre anni. Alcune banche potrebbero provare a difendere i loro margini di interesse aumentando gli interessi sui prestiti. Oppure, nel caso di banche price-taker nel mercato dei prestiti, potrebbero avere una ridotta propensione a erogare prestiti al momento meno profittevoli a fronte dell’assunzione del medesimo rischio di credito. In entrambi i casi, questo dovrebbe rallentare la crescita del credito.

In quarto luogo, già prima dei recenti eventi, i requisiti per la concessione di credito bancario stavano diventando più severi e la crescita del credito stava rallentando in conseguenza dell’inasprimento monetario. La politica monetaria esplica i suoi effetti con uno scarto temporale e il sensibile inasprimento operato dalla Fed lo scorso anno stava avendo un effetto più ampio sull’economia e sulle condizioni finanziarie. Quello che l’episodio di SVB ha portato alla luce è che l’economia è effettivamente sensibile ai tassi di interesse e la politica monetaria ha effettivamente inasprito le condizioni e sta avendo un effetto su segmenti più rischiosi del mercato.

In quinto luogo, con l’aumento dei rischi di recessione è difficile credere che non ci saranno implicazioni per i mercati del private debt in generale, compresi minori afflussi di capitale in quello spazio. Molti dei finanziamenti hanno lasciato i mercati pubblici nell’ultimo decennio in quanto la regolamentazione più stringente a cui sono divenute soggette le banche di grandi dimensioni ha reso quel tipo di attività meno appetibile. I mercati privati del debito hanno avuto un boom in termini di percentuale del PIL negli ultimi anni, passando da circa il 5% del PIL nel 2016 a circa il 10% attuale (intorno a 2.500 miliardi di Dollari), con legami economici e sui mercati finanziari molto più opachi. Sebbene le società di venture capital che avevano depositi operativi presso SVB saranno ristorate e potranno finanziare i fabbisogni di capitale circolante, l’evento solleva interrogativi su altri tipi di rischi che potrebbero celarsi in questi mercati. La maggior parte delle strutture di debito sui mercati privati sono a tasso variabile con coperture limitate del rischio di tasso di interesse e tendono a essere usate da società che presentano elevata leva finanziaria e sono più sensibili ai cicli economici. I mercati finanziari pubblici possono essere dominati da società ad alta capitalizzazione di mercato ma le piccole e medie imprese che tendono a finanziarsi tramite le banche e sui mercati privati dominano l’economia reale e rappresentano circa la metà del totale dell’occupazione americana.

Quali sono le conclusioni? Benché SVB presentasse tratti unici ai quali è ascrivibile la vulnerabilità emersa, il suo fallimento probabilmente comporterà condizioni finanziarie più aspre e crescita del credito lenta nonostante i tentativi del governo di rafforzare la fiducia nel weekend. Le banche in generale possono essere ben capitalizzate ma le fughe di depositi sono tuttora un rischio in quanto gli istituti di credito si trovano a competere con fondi monetari che offrono interessi più alti e hanno accesso al programma RRP della Fed. Pertanto è difficile immaginare come possano le banche non operare una stretta dei requisiti per la concessione del credito e non rallentare la crescita del credito. Riguardo alla crescita economica e all’inflazione, è la crescita del credito che conta per la crescita dell’economia reale.

Tutto ciò significa che la Fed necessita di un’azione meno decisa per ottenere lo stesso risultato in quanto le inasprite condizioni finanziarie stanno rallentando l’erogazione di credito e alla fine rallenteranno l’inflazione. Pertanto l’interrogativo non è se la Fed alzerà di 50 o di 25 punti base nella riunione di marzo ma piuttosto se il ciclo di rialzi della Fed è al capolinea. Ovviamente questo dipenderà dalla velocità e dall’entità di inasprimento delle condizioni finanziarie nei giorni e nelle settimane a venire. Con l’inflazione elevata (nonostante l’attenuazione degli ultimi mesi) e un mercato del lavoro vigoroso, è possibile che la risposta delle autorità governative ai fallimenti delle banche appiani i rischi per la stabilità finanziaria a sufficienza e che la Fed alzi ancora i tassi la prossima settimana. Tuttavia, con una politica monetaria già restrittiva, la crescita del credito che probabilmente rallenterà e il profilarsi di una potenziale recessione, la rana potrebbe già essere bollita.

A cura di

Tiffany Wilding

Economista per il Nord America

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