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Analisi settimanale dei mercati

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La forza delle Big cap

L'indice S&P500 si è mantenuto intorno ai 4.000 punti evidenziando ancora una volta una notevole dispersione sotto la superfice, mentre da inizio mese il Nasdaq sovraperforma ormai il Russell 2000 di oltre il 15%. Gran parte di questa sovraperformance è attribuibile al rally della duration. Ciò detto, ravvisiamo segnali indicanti una netta preferenza degli investitori per le società di maggiori dimensioni e in grado di resistere meglio in un contesto macro e di mercato nebuloso. In effetti, gli indici azionari a lunghissima duration (incluse le aree dell'universo tecnologico più speculative e con multipli più elevati) hanno di fatto nettamente sottoperformato le large cap da quando sono emerse crepe nel sistema bancario statunitense.

Se la scorsa settimana c'era l'Europa nell'occhio del ciclone a seguito della fusione delle due maggiori banche svizzere e della conferenza stampa della presidente della Banca Centrale Europea (BCE) Christine Lagarde, questa settimana l'attenzione si è spostata nuovamente oltreoceano, con tutti i riflettori puntati sulla Federal Reserve e sulle dichiarazioni del presidente Powell. Due settimane fa la BCE affermava che esistono strumenti per raggiungere la stabilità del mercato e strumenti per combattere l'inflazione, mentre questa settimana la Federal Reserve ha adottato un approccio diverso e più olistico.

Mercoledì scorso, il FOMC (Federal Open Market Committee) ha alzato le previsioni di inflazione per il 2023, mentre il dot plot è rimasto invariato, in quanto il comitato ha rivisto al ribasso le proiezioni di crescita. Il comunicato stampa ha assunto toni più accomodanti: la prospettiva di ulteriori rialzi ormai non è più una certezza bensì una possibilità. In particolare, nel corso della conferenza stampa Jerome Powell ha riconosciuto che l'inasprimento delle condizioni del credito avrebbe lo stesso effetto di un rialzo dei tassi e che le due misure di fatto si equivalgono.

L'incertezza rimane elevata e conveniamo con Powell sul fatto che prevedere con precisione l'impatto dell'inasprimento delle condizioni del credito legato ai recenti sviluppi nel settore bancario è una "congettura" in questa fase. In questo senso, la nostra attenzione si è concentrata sulla ricerca dell'"anello più debole", ovvero delle aree del mercato che a nostro avviso risentiranno maggiormente delle recenti turbolenze. Storicamente, le imprese di dimensioni più ridotte (PMI, piccole medie imprese) tendono ad essere più dipendenti dai prestiti bancari rispetto alle loro controparti del Fortune 500. Ci aspettiamo che le banche regionali inaspriscano maggiormente gli standard di credito rispetto agli istituti più grandi, e questo dovrebbe incidere soprattutto sulle PMI. È importante notare che, sebbene un'ampia estensione della garanzia sui depositi potrebbe contribuire ad arrestare la fuga dei depositi e ridurre la portata dell'inasprimento delle condizioni di prestito da parte delle banche regionali, ciò richiederebbe l'approvazione del Congresso, una circostanza poco probabile attualmente. Inoltre, le imprese più piccole fanno più fatica ad assorbire l'aumento dei costi di finanziamento, poiché i loro margini di profitto sono circa la metà di quelli delle grandi imprese.

Nei nostri portafogli multi-asset, l'orientamento alla qualità e la preferenza regionale per l'Asia ci hanno aiutato ad affrontare con successo le recenti turbolenze. Poiché la volatilità rimane elevata, abbiamo mantenuto questo posizionamento difensivo. Per quanto riguarda la duration, abbiamo nuovamente spostato parte della nostra duration nominale verso i TIPS, dato che i tassi breakeven sono scesi al 2,10% dall'inizio della crisi bancaria.

Cordiali saluti,

Il team di asset allocation

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