Viewpoints L’estate dello scontento per le materie prime: la limitata flessibilità dell’offerta pone rischi sostanziali I vincoli sul lato dell’offerta delle materie prime rappresentano un rischio per l’economia globale e accrescono i rischi di coda destra per l’inflazione.
All’arrivo del 2022 i mercati delle materie prime erano in generale rafforzamento per le difficoltà della produzione a tenere il passo con la ripresa della domanda dopo svariati anni di carenti investimenti. Gli eventi in Ucraina hanno accelerato quei trend e messo a nudo la necessità di un ciclo di consistenti investimenti per soddisfare i futuri fabbisogni energetici nonché per rispondere alle preoccupazioni per il clima e per la sicurezza. In conseguenza di decisioni passate dettate da scarsa lungimiranza e considerazioni ambientaliste, l’offerta è risultata più sotto tono rispetto a quanto ci si sarebbe aspettati prima del COVID-19. La nostra preoccupazione è che ulteriori perturbazioni dell’offerta energetica o difficoltà nella stagione agricola nordamericana impongano il razionamento della domanda vista la scarsa capacità produttiva a cui attingere per accrescere l’offerta sul breve periodo. In poche parole, molti mercati di materie prime sono alle prese con un delicato equilibrio quest’estate, con il potenziale di impennate di prezzo se qualcosa dovesse andare storto con i raccolti o in caso di ulteriori perdite di forniture energetiche. Le prospettive energetiche derivano da fattori sul lato dell’offerta Solo qualche anno fa, il greggio a 80 Dollari al barile avrebbe spronato la produzione nordamericana in modo sufficiente a farle tenere il passo con la crescita tendenziale della domanda. Nel 2022, con prezzi superiori ai 100 Dollari al barile ci aspettiamo che gli investimenti restino di circa il 15% al di sotto dei livelli del 2018 e la crescita della produzione si attesti a percentuali pressoché dimezzate rispetto al passato. La crescita più lenta e la minore elasticità dell’offerta sono ascrivibili a diverse ragioni: 1) la scarsa lungimiranza nell’aver privilegiato la redditività e il recupero degli investimenti rispetto alla crescita della produzione; 2) l'opposizione ambientalista a livello statale e locale che ha frenato la crescita della produzione, in particolare nella regione americana dell’Appalachia centrale ricca di gas umido; 3) le preoccupazioni per il clima che accrescono l’incertezza sulla domanda nell’orizzonte dei prossimi dieci o vent’anni, riducendo la propensione a investire capitali in progetti di lungo corso. Si consideri inoltre che i ridotti investimenti degli ultimi anni sono un fenomeno globale da cui discende un considerevole calo della capacità produttiva dei paesi OPEC e OPEC+ che è antecedente alle interruzioni delle forniture russe. In breve, la ridotta riserva di capacità produttiva dovuta agli insufficienti investimenti passati e la limitata capacità di risposta su questo versante rendono l’attuale stretta energetica molto più difficile da risolvere. Più che in qualsiasi altro luogo è in Europa che questi aspetti si avvertono in maniera più acuta e la scarsa flessibilità dell’offerta nei settori del gas e dell’elettricità contribuisce a spingere i prezzi alle stelle. I prossimi raccolti saranno cruciali Analogamente al quadro delineato per l’energia, le scorte agricole americane e globali erano già sotto pressione prima della guerra in Ucraina per effetto della generale ripresa della domanda, di costi di produzione in aumento e di raccolti insufficienti in primarie regioni agricole a seguito di condizioni meteorologiche sfavorevoli. In un tale contesto, l’improvviso venire meno delle esportazioni ucraine, soprattutto di grano, mais e oli vegetali, e di una parte consistente di quelle russe per problematiche logistiche, bancarie e finanziarie legate al conflitto bellico, ha determinato ulteriore significativa volatilità sul fronte dei prezzi. Purtroppo ci sono pochi ovvi meccanismi per riequilibrare i mercati al di là del razionamento della domanda indotto dai rincari dei prezzi. A tal riguardo l’aumento del protezionismo dettato dalle scorte in calo in molti dei maggiori paesi agricoli/importatori di derrate alimentari rende le prospettive particolarmente incerte quest’anno; benché comprensibile dal punto di vista della sicurezza interna, i divieti all’esportazione e le proposte volte a sviluppare riserve agricole strategiche possono solo inasprire le pressioni sulle scorte sul breve termine. Dato che il ciclo di produzione agricola annuale è relativamente breve e la base produttiva molto disaggregata, shock storici sul lato dell’offerta sono stati di solito relativamente transitori per il ritorno alla normalità dei fenomeni meteorologici e l’incremento delle coltivazioni incentivato dai prezzi alti. È del tutto possibile che per il resto dell’anno (e nel prossimo) le condizioni meteorologiche si rivelino molto meno problematiche rispetto a quelle sperimentate su scala globale nel 2021 e ad oggi nel 2022, alleggerendo le pressioni sul mercato. Tuttavia, i costi di produzione storicamente elevati, la limitata disponibilità di terreni facilmente reperibili da destinare all’ulteriore produzione agricola in molti paesi e il protezionismo in ascesa probabilmente manterranno i prezzi agricoli a un livello più alto rispetto al trascorso decennio e la volatilità nel settore pare verosimilmente destinata a restare elevata a fronte di rischi di eventi estremi climatici e geopolitici la cui probabilità di verificarsi appare sempre più crescente. Le preoccupazioni per un rallentamento della domanda sono reali ma gestibili Sebbene i prezzi del greggio non siano a livelli record in termini reali o nominali, quelli della benzina e del diesel lo sono. Inoltre, per quasi tutti i consumatori che usano una valuta diversa dal Dollaro americano, il costo del carburante è ben superiore a livelli record passati. Lo stesso si può dire dei prezzi dei generi alimentari. Nell’insieme, i redditi reali sono in discesa e l’incidenza del paniere delle materie prime sul PIL si sta avvicinando a livelli da primato. A fronte di questo quadro ci aspettiamo che la domanda deceleri. Tuttavia, benché non di grande aiuto per il Sud del Mondo, gli attuali livelli di risparmio dovrebbero contribuire a compensare l’erosione del reddito disponibile per servizi e viaggi, con sostegno ai consumi di carburante per i trasporti principali. In aggiunta, c’è da aspettarsi che le criticità sul fronte dei generi alimentari e dell’energia possano probabilmente indurre ad accaparramenti di beni fondamentali, il che aggraverebbe le problematiche. Infine, benché l’Europa sembri finalmente avere compreso i rischi per il suo approvvigionamento di gas naturale, molti governi nel mondo stanno abbassando gli oneri fiscali e offrendo sussidi laddove possibile per aiutare i consumatori e questo riduce il segnale di prezzo che incentiva cambiamenti di comportamento. Mentre il mondo attraversa una transizione mai vista nella nostra epoca, in larga parte dovuta a diversi effetti del COVID sul panorama economico, l’entità della perdita di domanda resta per il momento ignota. I prezzi delle materie prime rappresentano un rischio rilevante per l’inflazione e i prezzi degli attivi in generale Questo quadro delinea uno scenario sfidante per gli investitori, soprattutto quelli preoccupati per l’inflazione e che al contempo temono sia tardi per investire nel ciclo delle materie prime. Comprendiamo questo secondo timore viste le alterne esperienze di molti che hanno investito in materie prime negli ultimi 20 anni. Tuttavia, data la rilevanza dell’inflazione per i prezzi degli attivi nei prossimi anni nonché a fronte dei considerevoli rischi meteorologici e geopolitici sul lato dell’offerta che potrebbero accelerare impennate dei prezzi e riduzione della domanda, riteniamo che un’allocazione in materie prime o una soluzione multi asset di copertura dall’inflazione siano un opportuno complemento per portafogli tradizionali che investono in azioni/ obbligazioni. Inoltre, gli indici delle materie prime attualmente offrono un carry positivo di quasi il 15% (i prezzi a un anno delle materie prime sono del 15% inferiori a quelli spot), il che riduce fortemente gli ostacoli rispetto a un’allocazione in commodity. Gli investitori vengono dunque remunerati sotto molti aspetti per coprirsi da un rischio di rilievo per i mercati degli attivi.
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