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Crescita della domanda e offerta limitata supportano le materie prime nel 2023

Nonostante gli ostacoli sul versante macroeconomico, i mercati delle materie prime potrebbero offrire interessante potenziale di rendimento quest’anno alla luce delle persistenti limitazioni sul lato dell’offerta e della riapertura della Cina.

Gli investitori potrebbero chiedersi per quanto tempo i mercati delle materie prime possano sostenere il rally che stanno vivendo dalla primavera del 2020. Tassi di interesse più alti e crescita in decelerazione (nonché potenziale recessione) nei principali mercati sviluppati costituiscono verosimilmente dei freni per il 2023. Tuttavia, la rapida riapertura della Cina unitamente alla crescita della domanda globale post-pandemia a fronte di scorte che restano basse e altri fattori sul lato dell’offerta, nonché dell’incertezza sul conflitto fra Russia e Ucraina, depongono a favore di prezzi delle commodity che si mantengano elevati nell’anno che ci attende.

Sul più lungo termine, i protratti limitati investimenti sul lato dell’offerta unitamente alla transizione di stampo secolare verso fonti di energia rinnovabile potrebbero fornire ulteriore supporto ai prezzi delle materie prime, in particolare quelli dell’energia.

Driver di mercato per il 2023: protratta scarsità dell’offerta, riapertura dell’economia cinese

Un primario fattore che ha sostenuto il vigore del mercato delle commodity negli ultimi anni è stata la notevole scarsità dell’offerta in molti settori, che prevediamo si protrarrà. Questa tendenza è ascrivibile in parte alla ripresa della domanda globale e alle condizioni meteorologiche sfavorevoli di cui hanno risentito colture importanti, ma soprattutto è frutto degli investimenti insufficienti sul fronte dell’offerta. L’effetto netto che ne deriva è un basso livello delle scorte per i metalli di base, le materie prime agricole e il petrolio.

L’impatto di mercato è visibile nella forma della curva forward dei prezzi. Le scorte ridotte e l’eccesso di domanda hanno condotto a una condizione di carry positivo laddove i prezzi dei futures a breve (spot) sono superiori rispetto a quelli sulle scadenze più lontane (forward). Il carry positivo è evidente nella maggioranza dei componenti del Bloomberg Commodity Index e porta il rendimento completamente collateralizzato a un livello appetibile del 6–7%. Indubbiamente la guerra fra Russia e Ucraina ha acutizzato la penuria di materie prime e fatto salire il carry lo scorso anno ma gli effetti degli investimenti insufficienti in questo ambito erano evidenti già prima dell’invasione dell’Ucraina a febbraio 2022.

La Russia è fonte di volatilità e incertezza ma secondo il nostro scenario di base verosimilmente resterà nel complesso un catalizzatore di prezzi più alti delle materie prime. Ad esempio, l’embargo dell’Unione Europea sulle importazioni di prodotti petroliferi russi scattato a febbraio 2023 potrebbe esercitare pressioni al rialzo sui prezzi dei prodotti di raffinazione, sebbene parzialmente temperate da un inverno relativamente caldo in Europa. Gli effetti già si avvertono, come dimostrano i margini record delle raffinerie e i premi elevati in termini storici per la pronta consegna di molti prodotti della raffinazione.

Il contesto macroeconomico dovrebbe essere in generale di supporto per le commodity nel 2023. Sebbene i rialzi dei tassi operati dalle banche centrali siano un freno per la crescita nei mercati sviluppati, la riapertura della Cina ha il potenziale di offrire un’ampia compensazione in quanto il paese del Dragone ha un enorme fabbisogno di materie prime per la sua economia. La riapertura della Cina unitamente ai livelli delle scorte persistentemente bassi costituiscono ampi fattori favorevoli dal punto di vista dei fondamentali, tuttavia gli effetti sui prezzi verosimilmente saranno differenti nei diversi comparti delle materie prime:

  • Energia, in particolare i prodotti petroliferi raffinati: i primi segnali indicano una netta ripresa dei viaggi verso, da e all’interno della Cina nel 2023 ancorché non ancora un pieno rimbalzo ai livelli pre-pandemia. Con il passare del tempo, questo dovrebbe stimolare un aumento della domanda di benzina, diesel nonché di combustibili per aerei e di conseguenza un rafforzamento dei prezzi.
  • Materie prime agricole: in generale vediamo con favore le materie prime agricole, rispetto alle quali i fattori sul lato dell’offerta che hanno sostenuto i prezzi più alti probabilmente non si attenueranno molto nel 2023. Diversi anni di condizioni meteorologiche avverse ed estreme hanno danneggiato le coltivazioni in molte regioni e la guerra in Ucraina ha intensificato i problemi in quanto questo paese è un primario produttore di derrate agricole. Le scorte sono ridotte in gran parte delle filiere di approvvigionamento sebbene negli anni della pandemia la Cina non abbia acquistato le consuete grandi quantità, il che segnala potenziale vulnerabilità con la ripresa dell’economia del Dragone. Molto dipenderà dalla situazione meteorologica nell’emisfero settentrionale la prossima estate. Viste le cattive condizioni iniziali dei terreni, verosimilmente i prezzi saranno più esposti a eventuali sviluppi negativi sul fronte del meteo.
  • Metalli industriali: i dati pubblicati indicano che le scorte sono piuttosto basse. Benché non ci attendiamo un’impennata del manifatturiero cinese – i lockdown hanno penalizzato maggiormente i servizi rispetto alla produzione di beni e la domanda d’esportazioni resta debole – una reviviscenza del settore immobiliare dovrebbe sostenere la domanda di metalli. Ciò detto, molto del complesso dei metalli ha già scontato nei prezzi la riapertura della Cina.
  • Oro: storicamente il paese del Dragone è stato uno dei maggiori acquirenti di questo metallo prezioso e potrebbe fornire una spinta positiva ai prezzi nel 2023. Tuttavia, alla luce della recente robusta performance, riteniamo l’oro costoso ai livelli attuali e ci aspettiamo che i rendimenti reali più alti possano pesare sui prezzi del metallo giallo quest’anno.

Sul più lungo termine: investimenti insufficienti nella capacità di produzione di energia

L’esperienza storica indica che periodi prolungati di prezzi elevati dovrebbero incoraggiare gli investimenti sul lato dell’offerta, il che a sua volta aumenta la produzione, riequilibra il rapporto fra domanda e offerta e frena i prezzi nel tempo. Ad oggi, tuttavia, la risposta sul lato dell’offerta è stata molto minore rispetto a quella di periodi passati comparabili di prezzi alti, oltre che inferiore a quanto potrebbe servire per soddisfare la domanda futura attesa. Per motivare investimenti sufficienti crediamo occorrano livelli dei prezzi ancora più alti rispetto a quelli indicati dalle curve forward attuali di molte materie prime.

Sebbene questo possa costituire un’argomentazione convincente a favore delle prospettive di lungo termine delle commodity, gli investitori potrebbero essere comprensibilmente restii. In anni non troppo lontani (2012–2013, 2017–2018), analoghi periodi di prezzi elevati in cui l’offerta era limitata avevano innescato grandi entusiasmi ma si sono conclusi miseramente: l’aumento vertiginoso degli investimenti ha prodotto un eccesso di offerta che ha fatto scendere i prezzi. Lo specifico catalizzatore in entrambi i succitati periodi è stata l’impennata della produzione nordamericana, il cui incremento è stato così marcato che la crescita della produzione degli Stati Uniti da sola ha travalicato la crescita della domanda globale.

Oggi, tuttavia, osserviamo l’opposto, ossia una minore crescita degli investimenti nonostante i prezzi più elevati. Le società statunitensi stanno spendendo in investimenti upstream una quota dei ricavi significativamente inferiore rispetto a passati periodi di prezzi elevati. Le aziende stanno inoltre remunerando maggiormente gli investitori e investendo una quota crescente di ricavi in tecnologie per la transizione energetica. (La transizione green di stampo secolare potrebbe essere un altro fattore che alimenta prezzi dell’energia più alti e più volatili). Considerando gli aumenti dei costi, oltre al generale rallentamento in termini di efficienze, nei prossimi anni ci aspettiamo che la produzione energetica degli Stati Uniti cresca a una frazione dei tassi osservati in passato quando i prezzi erano elevati.

Con la capacità di riserva dell’OPEC prossima ai minimi storici, la carenza di investimenti upstream a livello globale verosimilmente sarà di supporto ai prezzi nonché potenzialmente dirompente per l’economia globale qualora dovesse verificarsi un altro shock sul versante dell’offerta.

Principali conclusioni per gli investitori

In qualsiasi contesto, un’allocazione in materie prime può offrire diversificazione e potente copertura dall’inflazione in un portafoglio d’investimento. Come si è visto negli ultimi due anni, i portafogli d’investimento tradizionali possono essere vulnerabili a incrementi inattesi dell’inflazione. Le commodity possono offrire una potente copertura dall’inflazione. Visto il livello di carry positivo e le prospettive che reputiamo in generale favorevoli per questo settore, soprattutto per le materie prime energetiche e quelle agricole, riteniamo vi siano motivi convincenti per detenere commodity e quantomeno il “costo” atteso per coprire il rischio d’’inflazione per il tramite di un'allocazione in materie prime appare basso.

A cura di

Greg E. Sharenow

Gestore, attivi reali

Lewis Hagedorn

Portfolio Manager, Commodities

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