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Le ragioni strategiche a favore delle materie prime

Per la loro capacità di copertura dall’inflazione, di diversificazione nonché di rafforzamento dei rendimenti, le materie prime andrebbero considerate come una componente importante nell’allocazione di portafoglio di lungo periodo.

Le materie prime tendono a offrire tre pregevoli benefici per i portafogli: diversificazione, copertura dall’inflazione e potenziale di rendimento. Sono la classe di attivo con la migliore performance sugli ultimi tre anni, stando ai dati al 31 marzo, con l’indice BCOM che ha sovraperformato sia l’S&P 500 che il Bloomberg Global Aggregate Index. Questi risultati sono verosimilmente ascrivibili a dinamiche strutturali alimentate dai fondamentali del settore, compresi i carenti investimenti. Tuttavia, la performance vigorosa degli ultimi tempi è stata anche sostenuta dagli sviluppi geopolitici in corso che hanno evidenziato come le materie prime possano fornire cruciale diversificazione per i portafogli in periodi inflazionistici.

A fronte di questo quadro, sorge spontaneo domandarsi se gli investitori debbano continuare a investire in materie prime anche se, ad esempio, diminuissero le preoccupazioni per l’inflazione o si manifestasse una lieve recessione. Noi crediamo di sì. Analizzando i tre ben noti potenziali benefici di investire in questa classe di attivo, emerge che le argomentazioni strategiche a favore delle materie prime sono robuste sia oggi che sul lungo termine.

La diversificazione resta di importanza cruciale

La costruzione di un tipico portafoglio 60/40, costituito per il 60% da azionario e per il 40% da obbligazionario, presuppone che queste due classi di attivo siano intrinsecamente diversificanti, esprimano basse correlazioni (quando i rendimenti delle classi di attivo nel tempo tendono a muoversi nella stessa direzione si dicono altamente correlati) e che idealmente siano sufficienti a far fronte ai diversi scenari macroeconomici. Per gran parte dei trascorsi 25 anni, questo presupposto è stato ampiamente soddisfatto, con l’eccezione degli ultimi due anni. Ultimamente le correlazioni fra azionario e obbligazionario hanno raggiunto livelli che non si vedevano dalla fine degli anni ’90. Le correlazioni a 12 mesi su periodi mobili negli ultimi tempi si sono attestate intorno a 0,75 a fronte di una media di lungo periodo di 0,19 dal 1977 al 2023. Questo riduce di molto qualsiasi beneficio di diversificazione ipotizzato e sottolinea l’esigenza di disporre di fonti reali di diversificazione rispetto al tradizionale portafoglio 60/40. I dati di lungo periodo relativi ad azionario, obbligazionario, materie prime ed inflazione indicano che le materie prime storicamente tendono a esprimere la più alta correlazione con l’inflazione (0,43) mentre presentano correlazione negativa rispetto alle obbligazioni (−0,27) e solo leggermente positiva rispetto alle azioni (0,24).

Figura 1. Questa tabella mostra le correlazioni tra tre categorie di attivo (l’azionario americano, l’obbligazionario globale e le materie prime) in termini di rendimenti annualizzati nonché rispetto al tasso di inflazione americano. La correlazione esprime la forza della relazione fra due variabili ed è compresa fra -1 e +1. Un valore negativo indica generalmente che le due variabili si muovono in direzione opposta mentre un valore positivo significa che si muovono nella stessa direzione. Dalla tabella si evince che le materie prime sono la classe di attivo con la più alta correlazione positiva con l’inflazione. Azioni e obbligazioni esprimono invece una correlazione negativa con l’inflazione.

Perché le materie prime tendono a offrire queste caratteristiche di diversificazione? Le materie prime sono “attivi reali” che reagiscono al variare dei fondamentali di domanda e offerta in modi diversi rispetto alle azioni e alle obbligazioni che sono “attivi finanziari”. Domanda e offerta di materie prime sono influenzate da molti fattori tra cui gli investimenti, o i mancati investimenti, nei vari comparti delle materie prime, componenti geopolitiche, il quadro normativo e delle politiche. Oggi, le iniziative dei governi per affrontare il cambiamento climatico allontanandosi dai tradizionali idrocarburi coniugate alle azioni di riposizionamento delle filiere e di incremento della resilienza verosimilmente forniscono, quantomeno nel nostro orizzonte secolare, discreto sostegno alle materie prime come classe di attivo. Il cambiamento climatico stesso del resto sembra avere concreti effetti negativi sulle disponibilità di materie prime agricole.

In parole povere, benché le materie prime condividano una sensibilità al ciclo macroeconomico con altri attivi, presentano anche propri driver idiosincratici distinti. Purtroppo per gli investitori, la storia indica che quando questi driver idiosincratici portano a un rally delle commodity, spesso riducono i rendimenti per altre classi di attivo. Le materie prime dunque possono offrire preziosi benefici di diversificazione quando sono più necessari. Ad esempio, come si evince dalla Figura 2, le materie prime possono offrire significativi benefici di diversificazione rispetto ad azioni e obbligazioni quando l’inflazione sorprende al rialzo.

Figura 2. Questo grafico raffigura i rendimenti dell’indice di materie prime BCOM, delle obbligazioni del Tesoro americano indicizzate all’inflazione (TIPS) e di un portafoglio 60/40 (60% azionario/40% obbligazionario) su periodi quinquennali dal 1976 al 2019 e nel periodo 2020-22. La principale conclusione rispetto a questo grafico è che quando ci sono vistose sorprese al rialzo dell’inflazione le materie prime sovraperformano il tradizionale portafoglio 60/40 e anche i TIPS in contesti simili.

Inflazione: le sorprese al rialzo sono più comuni e più problematiche di quelle al ribasso

Le materie prime da tempo manifestano correlazione positiva con l’inflazione realizzata (0,43 in media, dal 1976). Questo non dovrebbe sorprendere in quanto le materie prime (alimentari ed energetiche, ad esempio) tipicamente rappresentano una quota consistente del paniere dell’indice dei prezzi al consumo americano (CPI) sia direttamente (attualmente circa il 38%) che indirettamente in quanto rientrano in altre componenti del CPI. Nonostante rappresenti solo circa il 3% del CPI, la benzina da sola contribuisce per ben il 50% alla volatilità del CPI. Al di fuori del mondo sviluppato, alimentari ed energia rappresentano una quota ancora maggiore del paniere dei prezzi.

Figura 3. Questo grafico raffigura le sorprese d’inflazione e i prezzi del WTI dal 1971. L’inflazione attesa è misurata utilizzando i valori delle stime desunte dall’indagine condotta presso i previsori professionali. La sorpresa di inflazione è definita come la differenza fra l’inflazione attesa e l’inflazione realizzata. È evidente dal grafico che c’è una relazione molto forte fra le sorprese d’inflazione e il rendimento del WTI a un anno e la relazione si conferma robusta con sorprese sia di segno positivo che di segno negativo. Si evince chiaramente dal grafico che storicamente le sorprese d’inflazione sono state di solito maggiori al rialzo che al ribasso.

Perché è così importante considerare le sorprese di inflazione? Fintanto che azionario e obbligazionario sono efficienti e anticipatori, spesso sono le sorprese sul fronte dell’inflazione a porre rischi significativi per i portafogli. Per gran parte dei passati 25 anni (il periodo perlopiù preso a riferimento dall’analisi e dalla teoria moderna di costruzione del portafoglio), l’inflazione e le sorprese d’inflazione sono state relativamente di lieve entità. Gli ultimi anni ci hanno tuttavia ricordato che su periodi storici più lunghi il quadro non è altrettanto ottimistico. Rilevanti sorprese d’inflazione, del 6%–8%, non sono rare e, aspetto importante per gli investitori, si osserva che le sorprese al rialzo storicamente sono più severe di quelle al ribasso. In particolare, andando indietro sino agli anni ‘70 (da quando si dispone di dati ragionevolmente completi), i rendimenti delle materie prime hanno espresso una forte correlazione (0,78) con le sorprese d’inflazione. Guardando ai prossimi anni, vista la considerevole incertezza sulla traiettoria dell’inflazione, riteniamo che la copertura dall’inflazione sia di fondamentale importanza e che le materie prime possano fornire una potente copertura su quel fronte. Come illustrato in Figura 4, il BCOM storicamente ha sovraperformato il tradizionale portafoglio 60/40 e persino i TIPS in occasione di sorprese sull’inflazione.

Figura 4. Questo grafico mostra i rendimenti delle diverse classi di attivo in confronto tra loro, nonché la curva delle sorprese di inflazione, a partire dal 1979. Il confronto fra BCOM e il portafoglio 60/40 (60% azionario/40% obbligazionario) è effettuato calcolando la differenza fra la media mobile su 3 anni del rendimento su base annua del BCOM e la media mobile su 3 anni del rendimento su base annua del portafoglio 60/40. Si usa la media mobile a 3 anni anche per il confronto fra BCOM e TIPS e per il confronto fra TIPS e portafoglio 60/40. L’indice di materie prime BCOM sovraperforma sia il portafoglio 60/40 che i TIPS quando ci sono sorprese di inflazione

Il potenziale di recessione non dovrebbe comprometterne le prospettive strutturali

Ogni recessione ha catalizzatori, caratteristiche, entità, durata, e infine traiettoria di ripresa che le sono propri. Dalla fine della seconda guerra mondiale, l’economia americana ha attraversato 12 recessioni, il che significa in media una recessione ogni 6,1 anni. La Figura 5 mostra i rendimenti dell’indice BCOM nelle fasi di crescita e nelle recessioni (queste ultime indicate con tratto ombreggiato) da gennaio 1975 a ottobre 2022. In generale si riscontra che i prezzi delle materie prime tendono ad accelerare prima di una recessione, quando la domanda è robusta e l’economia è in surriscaldamento. Hanno rappresentato un’eccezione la recessione del 1981 nonché quella del 2020, indotta dal COVID, di natura eccezionale in quanto è durata solo due trimestri ma è stata severa (il PIL si è contratto del 29,9% su base annualizzata). Poiché le materie prime sono una componente fondamentale dell’attività economica, quando l’economia è in sofferenza, in generale la domanda di materie prime si contrae e i prezzi scendono (eccetto quelli dell’oro).

Figura 5. Questo grafico indica i livelli dei prezzi dell’indice di materie prime BCOM dal 1975 e le fasi di recessione negli Stati Uniti. Il grafico riporta in totale sette recessioni e la principale conclusione è che in generale i prezzi delle materie prime salgono nel periodo che precede una recessione, scendono durante la recessione e in diversi casi accelerano nella fase terminale o alla fine della recessione.

La risposta dei prezzi delle materie prime dopo una recessione tende a essere strettamente collegata alle condizioni di partenza nella fase che precede la contrazione. I dati storici indicano che quando la capacità di riserva e gli investimenti sono limitati prima di una recessione, le limitazioni sul lato dell’offerta tendono a riaffermarsi quando la crescita della domanda è in ripresa, come si è visto nel periodo successivo alla recessione dei primi anni 2000 (che ha preceduto l’ultimo super-ciclo delle materie prime) e più di recente con lo shock di domanda legato al COVID. Crediamo che questi due periodi offrano il confronto più idoneo rispetto alle condizioni attuali e l’investitore di lungo termine potrebbe voler considerare la debolezza, in caso di una recessione mite, come un’opportunità per ottenere copertura dall’inflazione.

Il tempismo è difficile, ma la costruzione consapevole del portafoglio non dovrebbe esserlo.

Come dimostrano gli ultimi anni, l’inflazione pone un rischio significativo per i portafogli standard 60/40. La perfetta prevedibilità consentirebbe agli investitori di conoscere il momento esatto in cui ridurre il rischio e/o aggiungere attivi sensibili all’inflazione, ma come per le previsioni di qualsiasi variabile macro o di mercato, esiste un'incertezza significativa, e shock inattesi rappresentano il maggiore rischio per la costruzione di portafoglio. Come dimostra la storia (Figura 6), un esercizio di ottimizzazione del portafoglio con il senno di poi in taluni casi assegnerebbe un peso robusto alle materie prime quando l’inflazione è in aumento e altre classi di attivo sono in affanno. È in questi momenti di massima vulnerabilità per i mercati che le materie prime possono svolgere un ruolo di diversificazione incredibilmente importante.

Figura 6. Questo grafico mostra che gli attivi tradizionali hanno beneficiato di un’allocazione dedicata in materie prime. Infatti in circa la metà del campione su 50 anni, l’aver inserito materie prime in portafoglio ha incrementato il rendimento corretto per il rischio del portafoglio 60/40. Il portafoglio è ottimizzato sulla base dei rendimenti, della volatilità e della correlazione su periodi di cinque anni.
A cura di

Michael Haigh

Commodities and Real Assets Economist

Greg E. Sharenow

Gestore, attivi reali

Lewis Hagedorn

Portfolio Manager, Commodities

Andrew DeWitt

Portfolio Manager, Commodities

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