Prospettive cicliche L'inizio della fine? L'espansione globale si sta avvicinando al picco trainato dalla domanda oppure è nelle fasi iniziali di una rinascita sostenuta dall'offerta. Questo documento descrive la nostra valutazione e il posizionamento dei portafogli.
Le recessioni sono fenomeni strani quando le condizioni finanziarie risultano favorevoli ed è difficile individuare squilibri interni nel settore privato. L'espansione mondiale sincronizzata, che ha accelerato il passo l'anno scorso, quasi certamente entrerà nel decimo anno a giugno e sembra improbabile che si interrompa nell'arco del nostro orizzonte ciclico di 6-12 mesi. Tuttavia, se un prosieguo della crescita robusta nel 2018 è praticamente una certezza, le cause di questo vigore sono più incerte: si tratta solo di un'impennata ciclica alimentata dalle condizioni finanziarie accomodanti, dall'espansione fiscale negli Stati Uniti e dalla ripresa in molti mercati emergenti, oppure stiamo assistendo alle fasi iniziali di una rinascita della produttività sul lato dell'offerta, destinata a sfociare in una crescita tendenziale più elevata, con il sostegno delle aliquote fiscali marginali inferiori, della deregolamentazione e degli "spiriti animali"? In altre parole, è l'inizio della fine dell'espansione mondiale... o della Nuova Neutralità? Inutile dire che i due scenari hanno implicazioni molto diverse per la durata dell'espansione mondiale oltre il 2018, come pure per l'inflazione e la politica monetaria e, di conseguenza, per i mercati finanziari. Anche se la nostra ipotesi di base resta quella di considerare la solida crescita economica attuale più ciclica e legata alla domanda che non trainata dall'offerta, una costruzione attenta del portafoglio dovrà tenere conto della grande incertezza che circonda questo aspetto cruciale. Lo scenario "Goldilocks" persiste, ma emergono segnali di una crescita al picco Quando i professionisti dell'investimento di PIMCO provenienti da tutto il mondo si sono riuniti per il Cyclical Forum trimestrale all'inizio di marzo, è stato raggiunto rapidamente un consenso intorno alla previsione aggiornata del team macroeconomico che punta a una crescita sincronizzata ancora superiore alla media tendenziale, con l'inflazione in moderata ascesa nell'orizzonte ciclico. Sebbene i sondaggi condotti fra le imprese mostrino i primi segnali di un picco del ciclo manifatturiero e del commercio globale intorno al passaggio nel nuovo anno, e nonostante una fase di volatilità dei prezzi degli attivi a febbraio, il sostegno fiscale e le condizioni finanziarie ancora favorevoli suggeriscono che le voci di una fine improvvisa dello scenario "Goldilocks" sono esagerate. Rispetto alle nostre previsioni di dicembre, quelle attuali indicano una crescita del PIL leggermente superiore nel 2018 per gli Stati Uniti, l'Eurozona, il Regno Unito e la Cina, mentre le stime per il Messico e l'India sono state ridotte. In sostanza, questo dovrebbe significare un'economia mondiale in progresso del 3,0-3,5% nel 2018, come da noi anticipato a dicembre, a fronte di un risultato per il 2017 intorno al punto intermedio di questo stesso intervallo. Le nostre previsioni di inflazione sono state lievemente ritoccate al rialzo, in risposta alla traiettoria ascendente dei prezzi del petrolio, ma continuiamo ad aspettarci che sia l'inflazione complessiva che quella di fondo chiudano l'anno al di sotto dell'obiettivo nell'Eurozona e in Giappone, come pure negli Stati Uniti, sebbene di poco. È importante notare che le nostre previsioni positive sulla crescita e l'inflazione sono sostanzialmente in linea con il consenso (per maggiori dettagli a livello regionale, si rimanda alla sezione sulle relative previsioni) e sembrano incorporate nei prezzi degli attivi. Se la crescita economica dovesse deludere al ribasso o l'inflazione risultare più elevata, il margine di errore potrebbe dunque essere limitato – motivo in più per posizionare il portafoglio in modo relativamente cauto. Politica statunitense: Dottor Jekyll o Mister Hyde? Dato il sostanziale accordo sulle prospettive cicliche di crescita e inflazione al nostro forum, siamo rapidamente passati a discutere della minore probabilità, ma dell'impatto maggiore dei rischi estremi positivi e negativi per i mercati e l'economia, derivanti dall'attuale agenda politica dell'amministrazione Trump. Libby Cantrill, responsabile delle politiche pubbliche di PIMCO, e il nostro consulente Gene Sperling, ex direttore del National Economic Council (NEC) per i presidenti Clinton e Obama, hanno dato inizio a un dibattito più ampio partendo dall'agenda politica dopo la riforma fiscale e l'accordo sul bilancio, con particolare attenzione alle infrastrutture – il potenziale scenario positivo – e alle politiche commerciali – il potenziale scenario negativo. Il programma del governo per il potenziamento delle infrastrutture prevede una spesa di USD 200 miliardi a livello federale, mirata a incentivare ulteriori investimenti statali, locali e privati per USD 1.300 miliardi. Sono dati che catturano l'attenzione, ma in base alle nostre conclusioni, la probabilità che il piano venga approvato dal Congresso nell'arco del nostro orizzonte ciclico è molto bassa. Inoltre, il nostro team dedicato ai municipal bond ha sostenuto che, anche in caso di attuazione, il contributo degli Stati, cui è riconducibile il grosso della spesa infrastrutturale statunitense, sarebbe verosimilmente di molto inferiore al livello teorizzato, visto lo scarso spazio di manovra fiscale nelle casse di molti Stati. Per quanto riguarda le politiche commerciali, ci aspettiamo che l'impatto dei dazi sull'acciaio e l'alluminio annunciati dal Presidente sarà ulteriormente ridimensionato. Importanti partner commerciali, come il Canada e il Messico, sono già stati esentati e ci attendiamo che l'esenzione sarà estesa anche ad altri in cambio di concessioni su fronti diversi. Peraltro, l'eventuale istituzione di dazi ritorsivi da parte dell'Europa e di altri partner dovrebbe essere proporzionale, nei limiti delle linee guida della WTO, con un impatto quindi circoscritto solo su una piccola porzione degli scambi complessivi, come del resto è il caso dei dazi su acciaio e alluminio. Un motivo di maggiore preoccupazione potrebbe essere l'azione protezionistica più ampia nei confronti della Cina in materia di diritti di proprietà intellettuale, ai sensi della Sezione 301, attualmente in discussione. I nostri analisti dedicati ritengono però che la Cina non reagirebbe in modo aggressivo innescando una guerra commerciale, ma punterebbe piuttosto a smorzare le tensioni e trattare. Nel complesso, abbiamo concluso che i rischi estremi sia positivi che negativi derivanti dal contesto politico statunitense, pur meritando attenzione, difficilmente potranno sfociare nel breve termine in sorprese favorevoli o sfavorevoli rilevanti, in grado di alterare in misura sostanziale la nostra ipotesi ciclica di base. Mercati emergenti: quanto spazio resta per la corsa? Un altro argomento cruciale per gli investitori è la traiettoria che potrebbero seguire i mercati emergenti (ME), dopo la salda affermazione della ripresa da una fase di forte rallentamento o, nel caso del Brasile e della Russia, di profonda recessione. Pramol Dhawan e Lupin Rahman, del nostro Comitato di portafoglio per i mercati emergenti, insieme all'illustre consulente e premio Nobel Michael Spence, ci hanno aiutato ad analizzare le ipotesi ottimistiche e pessimistiche sulle economie e i mercati finanziari emergenti. La tesi a favore di un'ulteriore sovraperformance dei ME poggia sul persistente ampliamento atteso del differenziale di crescita fra paesi emergenti e sviluppati, con la comparsa di nuovi fattori di espansione, – in particolare i consumi, – destinati a rimpiazzare il super-ciclo delle materie prime, ma anche su elementi più strutturali del declino dell'inflazione e sugli squilibri esterni molto ridotti rispetto al passato. A fronte di tutto questo, rileviamo che la ripresa ciclica dei mercati emergenti potrebbe essere in una fase più avanzata di quanto ritenga il consenso. La crescita potenziale sta rallentando a causa del contesto demografico in deterioramento, il margine per ulteriori stimoli sul fronte monetario adesso è più limitato, i rischi politici abbondano, giacché importanti economie emergenti come il Messico e il Brasile si avvicinano alle elezioni con i candidati populisti dati per favoriti nei sondaggi, e le condizioni esterne potrebbero diventare meno favorevoli, con le autorità del mondo sviluppato orientate al ritiro delle misure espansive, mentre avanzano le tendenze protezionistiche. Nel complesso, il nostro scenario di riferimento sul piano macro per i mercati emergenti resta di cauto ottimismo, ma siamo consapevoli dei rischi e del fatto che le valutazioni risultano meno interessanti. La nostra tesi della Nuova Neutralità messa alla prova Nel dibattito generale seguito alle sessioni di lavoro su questi argomenti specifici, ci siamo anche interrogati sulla validità attuale, come strumento guida per il nostro orientamento d'investimento, della tesi di Nuova Neutralità che abbiamo adottato da tempo di tassi d'interesse di equilibrio bassi (r*) creati dalla confluenza di crescita della produttività modesta, crescita del credito inferiore ai livelli storici, perdurante squilibrio fra risparmi e investimenti (a causa di fattori demografici, disuguaglianze crescenti e nuove tecnologie di risparmio dei capitali) e livelli di debito elevati. Di certo è un tema strutturale che affronteremo di nuovo in modo più dettagliato al Secular Forum in programma a maggio. Tuttavia, con i mercati e, potenzialmente, anche le banche centrali che accarezzano l'idea di un r* più elevato a fronte dell'accelerazione della crescita mondiale e del cambio di rotta verso l'espansione del bilancio pubblico, appare evidente la rilevanza di questo aspetto strutturale a lungo termine anche per le prospettive cicliche. Anche se nel complesso siamo ancora fiduciosi che le aspettative di tassi ufficiali bassi – rispetto alla vecchia normalità pre-2008 – resteranno intatte, rileviamo sia le prospettive cicliche più incerte, sia il dubbio strutturale che il risanamento post-crisi e la possibile accelerazione della produttività sfocino in un aumento sostenuto di r*. Detto questo, a dieci anni dall'inizio della crisi finanziaria globale, lo stock in essere di debito del settore pubblico e privato nell'economia mondiale rimane a un livello record. Continuiamo a pensare che, a dispetto della ripresa post-crisi, le economie avranno bisogno di tassi inferiori a quelli del periodo pre-crisi per avanzare nel percorso di crescita. Infine, i fattori demografici che comprimono il tasso neutrale non sono cambiati e, a conti fatti, non ci aspettiamo che gli effetti temporanei degli sgravi fiscali negli Stati Uniti abbiano un impatto sostenuto sull'economia. Di conseguenza, al di là delle prospettive divenute più incerte e dell'esigenza di continuare a mettere alla prova le nostre convinzioni precedenti, riteniamo ancora valida la tesi della Nuova Neutralità – ovvero l'attesa di un tasso ufficiale neutrale reale negli Stati Uniti compreso fra lo 0% e l'1% – come scenario in cui inquadrare le valutazioni obbligazionarie. In questo contesto, riteniamo che il recente rialzo dei rendimenti abbia ampiamente scontato l'espansione fiscale di fine ciclo e il relativo shock di offerta di titoli di Stato americani. Esiste ancora un certo rischio di rialzo per i rendimenti mondiali e ci aspettiamo di mantenere posizioni di sottopeso sulla duration, ma non pensiamo di essere all'inizio di un mercato ribassista di lungo periodo per le obbligazioni. In un sondaggio condotto fra i partecipanti al forum, tranne poche eccezioni, tutti si aspettavano che i titoli di Stato americani decennali restassero in un ampio intervallo del 2,5-3,5% quest'anno, in linea con lo scenario di Nuova Neutralità. Il tasso ufficiale neutrale ovviamente non è una soglia né un tetto, ma un punto di ancoraggio. A tale riguardo, l'espansione fiscale statunitense in una fase così avanzata del ciclo economico ha reso le prospettive molto più incerte e il compito del nuovo presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, molto più complicato. Gli sgravi fiscali e la spesa legata agli uragani hanno aumentato le probabilità di surriscaldamento dell'economia statunitense, in un momento in cui la disoccupazione è già molto bassa. La Fed potrebbe essere costretta a reagire – spingendo il tasso ufficiale al di sopra della neutralità se non in territorio nettamente restrittivo – e il mercato potrebbe senza dubbio scontare queste aspettative. Le nostre previsioni indicano un'inflazione vicina al 2% negli Stati Uniti per il parametro preferito della Fed, ossia l'indice della spesa per consumi personali (PCE), ma il supporto fiscale in questa fase avanzata del ciclo ha aumentato i rischi al rialzo. Tuttavia, come già accennato, a questo punto riteniamo più probabile un'impennata ciclica di breve periodo che non un cambiamento strutturale di rilievo. A questa convinzione si aggiunge la nostra aspettativa che gli Stati Uniti incapperanno probabilmente in una recessione nell'arco del nostro orizzonte a lungo termine (tre-cinque anni) – ipotesi che diventerebbe più concreta se l'espansione fiscale dovesse spingere la Fed ad aumentare i tassi in modo più aggressivo del previsto. Il tasso neutrale e il tasso a termine non sono la stessa cosa. Ciò detto, è probabile che gli Stati Uniti entreranno nella prossima recessione con una capacità piuttosto limitata di adottare misure di politica monetaria convenzionali, rispetto all'esperienza storica, oltre che con un deficit di bilancio consistente. Implicazioni per gli investimenti Continuiamo a esercitare molta cautela: preferiamo generare alfa tramite posizioni bottom-up piuttosto che con ampie posizioni di rischio macro top-down e manteniamo la flessibilità per investire il budget di rischio quando si presentano opportunità interessanti. Siamo ancora convinti che a seguito dell'inasprimento monetario la volatilità aumenterà raggiungendo livelli più sostenuti, i cui effetti saranno maggiormente avvertiti rispetto a quelli legati all'impennata registrata dalla volatilità azionaria a febbraio. In un contesto di crescente volatilità e valutazioni elevate, intendiamo mantenere un posizionamento complessivamente prudente, puntando a generare carry da molteplici fonti senza affidarci direttamente al rischio legato al credito societario. Vogliamo farci trovare preparati e mantenerci flessibili. Duration Prevediamo di continuare a detenere un modesto sottopeso di duration. Riteniamo infatti che l'aumento dei tassi reali negli Stati Uniti abbia ampiamente incorporato il significativo incremento dell'offerta di titoli di Stato americani, ma – come indicato sopra – le maggiori incertezze sulle prospettive e il rischio che i mercati possano accarezzare l'idea di un rialzo dell'inflazione, pur non rientrando nelle nostre previsioni, suggeriscono che sia sensato mantenere un sottopeso di duration e un modesto orientamento verso un irripidimento della curva alle valutazioni attuali, con un sottopeso sul tratto a lunga della curva. Intendiamo rimanere leggermente sovrappesati sui Treasury Inflation-Protected Securities (TIPS), che riflettono valutazioni ragionevoli e costituiscono una valida copertura nell'eventualità di un'accelerazione imprevista dell'inflazione statunitense. Continuiamo a considerare il sottopeso di duration in Giappone come un'opportunità asimmetrica, date le probabili modifiche che verranno apportate nel tempo alla politica di controllo della curva dei rendimenti e l'intrinseca copertura contro un aumento inatteso e significativo dei rendimenti globali che si rifletterebbe, con un certo ritardo, in Giappone. Non intendiamo assumere posizioni di ampia portata nel debito sovrano dei paesi periferici europei ai prezzi attuali, dove alle prospettive economiche cicliche positive fanno da contrappeso le valutazioni, il rischio politico italiano e i timori di lungo termine sulla sostenibilità dell'Eurozona nella prossima recessione. Credito Tendiamo a evitare le obbligazioni societarie high yield e investment grade generiche, privilegiando invece un'ampia gamma di titoli a breve scadenza di tipo "mi piego ma non mi spezzo" nel debito societario e nei prodotti strutturati. Per quanto riguarda il debito corporate, ci aspettiamo di individuare nuove emissioni e opportunità bottom-up allettanti, grazie all'analisi del nostro team globale di analisti di ricerca e gestori obbligazionari. Continuiamo a considerare i mutui non-agency come una posizione altamente convincente in virtù del nostro giudizio positivo sul mercato immobiliare statunitense, delle qualità difensive di questi strumenti nonché dei premi al rischio interessanti per la liquidità, la complessità e l'incertezza sui tempi dei cash flow. Riteniamo inoltre che i mortgage-backed securities (MBS) di agenzie presentino valutazioni ragionevoli e costituiscano una valida fonte di carry alternativa al credito. Cercheremo altresì di individuare opportunità nel segmento dei commercial mortgage-backed securities e delle collateralized loan obligation garantite da prestiti societari (collateralized loan obligations). Mercati emergenti Ci aspettiamo di individuare occasioni appetibili nel debito in valuta forte e valuta locale dei mercati emergenti. Ciò nonostante, al di là dei portafogli dedicati ai mercati emergenti, restiamo dell'avviso che un paniere diversificato di valute emergenti costituisca il modo migliore per esprimere un giudizio positivo sui fondamentali delle economie emergenti e per generare reddito. Azioni Più in generale, sul fronte dell'asset allocation, siamo neutrali sulle azioni statunitensi poiché al momento attuale il mercato sconta quasi del tutto i benefici fiscali attesi – con una crescita dell'utile per azione previsto pari a circa il 18% e scarso margine per ulteriori revisioni al rialzo. Il Giappone si distingue positivamente con prospettive di espansione degli utili superiori al 20% quest'anno e valutazioni relativamente convenienti. Materie prime Intendiamo assumere una modesta posizione di sovrappeso sulle materie prime nei nostri portafogli multi-asset, alla luce delle prospettive di rendimento interessanti e dei loro potenziali vantaggi in termini di diversificazione qualora l'economia globale dovesse accelerare, incrementando l'inflazione realizzata. I settori che ci convincono maggiormente sono l'energia e i metalli di base, che dovrebbero beneficiare del sostegno della dinamica di crescita globale. Previsioni economiche regionali Stati Uniti Prevediamo una crescita del PIL reale superiore al livello tendenziale pari al 2,25-2,75% nel 2018. Gli sgravi fiscali a favore delle famiglie e delle imprese dovrebbero stimolare la crescita nella misura di 0,3 punti percentuali nell'anno in corso, con un ulteriore contributo di 0,3 punti percentuali proveniente da un aumento della spesa federale a seguito dell'accordo biennale sul bilancio. La probabilità che il tasso di disoccupazione scenda sotto il 4% fa presagire un'accelerazione della crescita salariale e dell'inflazione dei prezzi al consumo, con la componente di fondo del CPI destinata a superare la soglia del 2% nel corso dell'anno. Anticipiamo un rialzo anche dell'inflazione core CPI, il parametro preferito della Fed, che dovrebbe avanzare lentamente verso l'obiettivo del 2% salendo dall'attuale 1,5% all'1,8%. Sotto la nuova leadership, è probabile che la Fed continui a spingere gradualmente verso l'alto il tasso sui Fed fund, di pari passo con la riduzione delle capacità inutilizzate nell'economia. Ci aspettiamo almeno tre rialzi dei tassi nel 2018 e probabilmente un quarto qualora le condizioni finanziarie ed economiche dovessero rimanere favorevoli durante tutto l'anno. Area Euro Alla luce della crescita solida e delle condizioni finanziarie favorevoli, ci aspettiamo che il PIL dell'Eurozona cresca a un ritmo del 2,25%–2,75% nel 2018, come l'anno prima. Una caratteristica importante dell'espansione in corso è che la ripresa al momento coinvolge tutta la regione, con una dispersione dei tassi di crescita fra gli Stati membri decisamente meno pronunciata che in passato. Un altro aspetto di rilievo è che l'inflazione di fondo è stata e si prevede resterà molto bassa, riuscendo appena a superare l'1% nel corso di quest'anno. Le capacità inutilizzate residue, le passate riforme del mercato del lavoro e i persistenti divari di competitività fra gli Stati membri tengono a freno le pressioni salariali. Inoltre, l'apprezzamento dell'Euro nel corso del 2017 probabilmente limiterà l'inflazione dei prezzi al consumo nel 2018. Per ora, la politica della Banca Centrale Europea va avanti in automatico, con acquisti netti di attivi a un ritmo di 30 miliardi di Euro al mese fino a settembre. Prevediamo che il programma di acquisti si concluderà in quel momento o comunque, dopo una breve fase di tapering, entro dicembre, anche se le obbligazioni in scadenza verranno reinvestite per un periodo di tempo prolungato. Non ci aspettiamo il primo rialzo dei tassi fino a circa metà 2019. Regno Unito La nostra previsione di crescita del PIL reale fra l'1,5% e il 2% e superiore alle stime di consenso si basa sull'aspettativa che nel prossimo futuro si raggiunga un accordo sulla fase di transizione destinata ad agevolare l'uscita del Regno Unito dall'UE. In tal caso, ci aspettiamo che l'espansione ricominci ad accelerare, spinta dalla ritrovata fiducia e dal via libera ad alcuni degli investimenti societari accumulatisi nell'attesa. Inoltre, dopo sette anni di austerità, riteniamo ragionevole ipotizzare una spesa governativa più robusta. L'inflazione dovrebbe riscendere verso l'obiettivo del 2% entro la fine del 2018, con l'attenuarsi degli effetti del deprezzamento della Sterlina dello scorso anno sui prezzi all'importazione, dato che per ora non si vedono segnali di effetti di secondo livello sui prezzi al consumo. Secondo la nostra previsione di base, la Banca d'Inghilterra (BoE) proseguirà lungo il percorso di rialzo graduale dei tassi d'interesse, effettuando due ritocchi nel 2018. Questa ipotesi poggia sul presupposto che le trattative sulla Brexit fra il Regno Unito e l'UE procedano senza particolari intoppi; se invece, contrariamente alle nostre aspettative, si dovesse arrivare a un punto di rottura, è sempre possibile che la BoE decida di lasciare i tassi invariati. Giappone Il nostro scenario di riferimento per il Giappone prevede il proseguimento della crescita economica a un ritmo dell'1-1,5% nel 2018. La politica fiscale resterà favorevole, in attesa del previsto aumento dell'IVA verso la fine del 2019. Con un tasso di disoccupazione inferiore al 3% e i lavori a tempo pieno (meglio remunerati) sempre più numerosi, la crescita dei salari dovrebbe accelerare ancora, contribuendo alla graduale risalita dell'inflazione di fondo verso un livello leggermente inferiore all'1% nel corso dell'anno. Visto l'apprezzamento dello Yen e l'ostacolo disinflazionistico posto, nonché alla luce del fatto che le recenti nomine dei vice governatori confermano il mantenimento di un orientamento espansivo da parte della Banca del Giappone, quest'ultima potrebbe iniziare a modificare la propria politica di controllo della curva dei rendimenti solo dopo il 2019. Cina Lo stimolo sul fronte del credito e delle infrastrutture ha per gran parte già raggiunto il picco, pertanto ci attendiamo una decelerazione controllata della crescita del PIL cinese verso il punto medio del nostro intervallo del 6-7% per il 2018, dal 6,8% dello scorso anno. Probabilmente l'attenzione delle autorità sarà focalizzata sulla limitazione degli eccessi finanziari, in particolare nel sistema bancario ombra, ma anche sul consolidamento fiscale, in primo luogo da parte dei governi locali. L'inflazione dovrebbe accelerare spinta dall'inflazione di fondo più elevata e dai rincari del petrolio, inducendo la Banca popolare cinese a inasprire la politica con un rialzo dei tassi d'interesse ufficiali, a dispetto del consenso che non prevede misure di questo tenore. Siamo sostanzialmente neutrali sulla valuta e ci aspettiamo che le autorità mantengano uno stretto controllo sui flussi di capitali per contenere la volatilità del tasso di cambio.
Prevediamo una crescita del PIL reale superiore al livello tendenziale pari al 2,25-2,75% nel 2018. Gli sgravi fiscali a favore delle famiglie e delle imprese dovrebbero stimolare la crescita nella misura di 0,3 punti percentuali nell'anno in corso, con un ulteriore contributo di 0,3 punti percentuali proveniente da un aumento della spesa federale a seguito dell'accordo biennale sul bilancio. La probabilità che il tasso di disoccupazione scenda sotto il 4% fa presagire un'accelerazione della crescita salariale e dell'inflazione dei prezzi al consumo, con la componente di fondo del CPI destinata a superare la soglia del 2% nel corso dell'anno. Anticipiamo un rialzo anche dell'inflazione core CPI, il parametro preferito della Fed, che dovrebbe avanzare lentamente verso l'obiettivo del 2% salendo dall'attuale 1,5% all'1,8%. Sotto la nuova leadership, è probabile che la Fed continui a spingere gradualmente verso l'alto il tasso sui Fed fund, di pari passo con la riduzione delle capacità inutilizzate nell'economia. Ci aspettiamo almeno tre rialzi dei tassi nel 2018 e probabilmente un quarto qualora le condizioni finanziarie ed economiche dovessero rimanere favorevoli durante tutto l'anno.
Alla luce della crescita solida e delle condizioni finanziarie favorevoli, ci aspettiamo che il PIL dell'Eurozona cresca a un ritmo del 2,25%–2,75% nel 2018, come l'anno prima. Una caratteristica importante dell'espansione in corso è che la ripresa al momento coinvolge tutta la regione, con una dispersione dei tassi di crescita fra gli Stati membri decisamente meno pronunciata che in passato. Un altro aspetto di rilievo è che l'inflazione di fondo è stata e si prevede resterà molto bassa, riuscendo appena a superare l'1% nel corso di quest'anno. Le capacità inutilizzate residue, le passate riforme del mercato del lavoro e i persistenti divari di competitività fra gli Stati membri tengono a freno le pressioni salariali. Inoltre, l'apprezzamento dell'Euro nel corso del 2017 probabilmente limiterà l'inflazione dei prezzi al consumo nel 2018. Per ora, la politica della Banca Centrale Europea va avanti in automatico, con acquisti netti di attivi a un ritmo di 30 miliardi di Euro al mese fino a settembre. Prevediamo che il programma di acquisti si concluderà in quel momento o comunque, dopo una breve fase di tapering, entro dicembre, anche se le obbligazioni in scadenza verranno reinvestite per un periodo di tempo prolungato. Non ci aspettiamo il primo rialzo dei tassi fino a circa metà 2019.
La nostra previsione di crescita del PIL reale fra l'1,5% e il 2% e superiore alle stime di consenso si basa sull'aspettativa che nel prossimo futuro si raggiunga un accordo sulla fase di transizione destinata ad agevolare l'uscita del Regno Unito dall'UE. In tal caso, ci aspettiamo che l'espansione ricominci ad accelerare, spinta dalla ritrovata fiducia e dal via libera ad alcuni degli investimenti societari accumulatisi nell'attesa. Inoltre, dopo sette anni di austerità, riteniamo ragionevole ipotizzare una spesa governativa più robusta. L'inflazione dovrebbe riscendere verso l'obiettivo del 2% entro la fine del 2018, con l'attenuarsi degli effetti del deprezzamento della Sterlina dello scorso anno sui prezzi all'importazione, dato che per ora non si vedono segnali di effetti di secondo livello sui prezzi al consumo. Secondo la nostra previsione di base, la Banca d'Inghilterra (BoE) proseguirà lungo il percorso di rialzo graduale dei tassi d'interesse, effettuando due ritocchi nel 2018. Questa ipotesi poggia sul presupposto che le trattative sulla Brexit fra il Regno Unito e l'UE procedano senza particolari intoppi; se invece, contrariamente alle nostre aspettative, si dovesse arrivare a un punto di rottura, è sempre possibile che la BoE decida di lasciare i tassi invariati.
Il nostro scenario di riferimento per il Giappone prevede il proseguimento della crescita economica a un ritmo dell'1-1,5% nel 2018. La politica fiscale resterà favorevole, in attesa del previsto aumento dell'IVA verso la fine del 2019. Con un tasso di disoccupazione inferiore al 3% e i lavori a tempo pieno (meglio remunerati) sempre più numerosi, la crescita dei salari dovrebbe accelerare ancora, contribuendo alla graduale risalita dell'inflazione di fondo verso un livello leggermente inferiore all'1% nel corso dell'anno. Visto l'apprezzamento dello Yen e l'ostacolo disinflazionistico posto, nonché alla luce del fatto che le recenti nomine dei vice governatori confermano il mantenimento di un orientamento espansivo da parte della Banca del Giappone, quest'ultima potrebbe iniziare a modificare la propria politica di controllo della curva dei rendimenti solo dopo il 2019.
Lo stimolo sul fronte del credito e delle infrastrutture ha per gran parte già raggiunto il picco, pertanto ci attendiamo una decelerazione controllata della crescita del PIL cinese verso il punto medio del nostro intervallo del 6-7% per il 2018, dal 6,8% dello scorso anno. Probabilmente l'attenzione delle autorità sarà focalizzata sulla limitazione degli eccessi finanziari, in particolare nel sistema bancario ombra, ma anche sul consolidamento fiscale, in primo luogo da parte dei governi locali. L'inflazione dovrebbe accelerare spinta dall'inflazione di fondo più elevata e dai rincari del petrolio, inducendo la Banca popolare cinese a inasprire la politica con un rialzo dei tassi d'interesse ufficiali, a dispetto del consenso che non prevede misure di questo tenore. Siamo sostanzialmente neutrali sulla valuta e ci aspettiamo che le autorità mantengano uno stretto controllo sui flussi di capitali per contenere la volatilità del tasso di cambio.
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