Blog La volatilità dei prezzi energetici mostra la capacità delle materie prime di influenzare l’inflazione La recente impennata dei prezzi del petrolio e del gas naturale evidenzia la natura interconnessa dei mercati energetici e le complessità dell’abbandono dei combustibili fossili
Il deciso aumento dei prezzi del gas naturale da agosto ha esercitato pressioni al rialzo su un ventaglio di materie prime tra cui il carbone, l’energia elettrica e il petrolio, e compresso i margini degli utenti industriali. La riduzione forzata delle attività industriali ha contribuito a rincari di altre materie prime come i metalli di base e dell’ammoniaca, ove la produzione venga ridotta per risparmiare gas naturale. A fronte delle strozzature sul lato dell’offerta, nel trasporto marittimo e nelle forniture di chip per computer, l’impennata dei prezzi delle materie prime ha alimentato rinnovate preoccupazioni sull’inflazione e sul potenziale freno per la crescita derivante dal contenimento della produzione industriale e dall’aumento delle bollette per il riscaldamento. A ottobre il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al ribasso le stime di crescita globale citando tra i rischi i costi in ascesa dei combustibili e l’inflazione in accelerazione. Purtroppo la volatilità dei prezzi dell’energia potrebbe persistere nei mesi a venire. Il mercato del gas spinge al rialzo le materie prime Per il combinarsi di fattori una tantum e strutturali le scorte mondiali di gas naturale sono al limite inferiore del range storico in prossimità dell’inverno e hanno spinto i prezzi al rialzo. Le temperature rigide che quest’anno si sono protratte per tutta la primavera in Europa e in Russia hanno limitato il tradizionale periodo di accumulo delle scorte di gas. Condizioni meteorologiche avverse hanno inoltre determinato una ridotta produzione di energia eolica e idroelettrica facendo salire la domanda di energia termica tra cui quella generata dal gas naturale. I ritardi di manutenzione dovuti alla pandemia e gli insufficienti investimenti nella fase a monte della produzione energetica hanno limitato l’utilizzo della capacità negli impianti mondiali di produzione di gas naturale liquefatto (GNL) a livelli non molto superiori a quelli del 2020, quando i prezzi bassi avevano indotto tagli alla produzione. La situazione è stata ulteriormente complicata dalle basse scorte di gas naturale e dalla robusta domanda interna in Russia, nonché dalla predilezione del paese per le esportazioni attraverso il corridoio meridionale che hanno contribuito al calo delle importazioni nord europee di gas russo. Hanno inoltre contribuito alla recente carenza energetica, l’eccezionale incremento nell’ultimo anno della produzione industriale, e il conseguente fabbisogno di energia, in ragione della domanda globale di beni legata alla pandemia. Entrano in gioco anche altre materie prime In ragione dell’aumento della domanda di combustibili concorrenti e dei relativi prezzi si possono avvertire effetti domino sull’insieme delle materie prime. L’offerta di carbone era scesa dopo anni di ridotti investimenti per le politiche adottate in Cina e altrove per contrastare l’inquinamento. A fronte del maggior utilizzo del carbone per generare energia elettrica, i prezzi della CO2 in Europa hanno cominciato a salire in quanto gli impianti a carbone emettono una quantità superiore di anidride carbonica per megawattora (MWh) prodotto. Questa spirale al rialzo, con il gas, l’anidride carbonica e il carbone che rincarano assieme, ha contribuito a fare salire ulteriormente i prezzi del petrolio che già erano in ascesa. In poche parole, nessun ambito della filiera energetica è rimasto immune. Oltre alle tasche dei consumatori di tutto il mondo, le principali vittime sono gli utenti industriali che sono costretti a ridurre la produzione a seguito di provvedimenti governativi (ad esempio, in Cina e in India) o in ragione dei rincari (in Europa). Resilienza e ridondanza carenti Gli eventi recenti hanno messo a nudo quelli che crediamo siano i nodi cruciali del sistema energetico: 1) la diffusa insufficienza degli investimenti sul lato dell’offerta dopo anni di prezzi bassi, 2) la ridotta flessibilità del sistema, e 3) la natura interconnessa di tutti i mercati energetici, compreso il ruolo che rivestono i prezzi della CO2 nel determinare i punti di sostituzione fra i mercati. Benché l’OPEC+, che comprende i paesi OPEC e diverse altre nazioni esportatrici di petrolio, conservi una qualche capacità di riserva per il petrolio, e la Russia verosimilmente anche per il gas naturale, la capacità produttiva di riserva pare in discesa nell’intera filiera energetica, lasciando probabilmente il mercato più esposto a sconvolgimenti meteorologici o politici. Con gli investitori che richiedono maggiore attenzione nel posizionamento delle imprese per la transizione dai combustibili fossili all’energia verde e maggiore redditività del capitale, gli investimenti nella fase upstream a parità di livello di prezzo sono sensibilmente inferiori a quelli che ci si sarebbe aspettati solo due anni fa. Mentre le rinnovabili e le politiche ambientali hanno avuto in generale effetti disinflazionistici nell’ultimo decennio col crescere della capacità di generazione di energia solare ed eolica, lo svuotamento di capacità di produzione di carico di base (carbone e nucleare) ha reso la domanda meno reattiva alle variazioni di prezzo. Il mondo punta sull’elettrico per le automobili e per il riscaldamento/raffreddamento delle abitazioni ma saranno necessari investimenti nell’accumulo e nella generazione di carico di base per aumentare la ridondanza e far fronte alla natura intermittente delle rinnovabili. Benché a nostro avviso sia necessario per contrastare il cambiamento climatico e incentiverà l’uso di ulteriori fonti energetiche diverse dagli idrocarburi, il carbon pricing è una potenziale fonte di ulteriore pressione al rialzo per i prezzi delle materie prime. Noi stimiamo che l’aumento dei prezzi della CO2 nell’ultimo anno abbia alzato il livello al quale i prezzi del gas naturale motivano la sostituzione con il carbone di 15 -20 euro per MWh, una cifra non irrisoria considerato che solo un anno fa il gas europeo scambiava a 15 euro. Cosa accadrà? Ci sono segnali che la morsa possa allentarsi. La domanda di gas si è indebolita in linea con la dinamica di sostituzione e la riduzione della domanda industriale. Lo stoccaggio europeo mostra segni di miglioramento al pari delle esportazioni globali di GNL. La Cina si sta adoperando per aumentare le forniture di carbone, che stanno mostrando i primi incrementi. Tuttavia, il mondo post-COVID pare contrassegnato da accresciuta volatilità e gli investitori potrebbero puntare ai mercati delle materie prime per coprire i rischi di inflazione. Manteniamo una disposizione positiva nei confronti dei prezzi della CO2 in generale, e anche a tal riguardo le materie prime potrebbero essere uno strumento utile di copertura rispetto a questo impulso inflazionistico frutto delle politiche. Per saperne di più sulle previsioni di lungo termine di PIMCO leggi il nostro ultimo Secular Outlook “L’Epoca della Trasformazione”. Greg E. Sharenow è un gestore di portafoglio focalizzato sulle materie prime e sugli attivi reali e contribuisce regolarmente al Blog di PIMCO.
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